Il 30 dicembre, giorno di festa nazionale per commemorare il dottor José Rizal, scienziato, autore e icona della Repubblica filippina, è giusto emulare il suo esempio analizzando e criticando la nostra società. Il nostro collaboratore Malaginoo si concentra su un concetto che mette al corrente sul modo in cui consideriamo Rizal e i suoi contemporanei durante l’ascesa del “nazionalismo filippino:” eroi. Nello specifico, eroi nazionali.
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Eroi. Nello specifico, eroi nazionali.
Nelle Filippine, questo concetto ossessiona le scuole e il popolo come uno spettro ogni volta che si celebra l’anniversario della nascita o della morte di un eroe. Aleggia nell’aria sopra le teste dei partecipanti, consci del fatto che a questo seguirà sicuramente un discorso appassionato su coraggio, virtù, talento e devozione alla libertà e all’unità.
Nel luglio 2020, uno di questi discorsi si è svolto proprio nel cuore pulsante della Repubblica filippina. Il noto tiranno Rodrigo Duterte ha usato il suo discorso sullo “Stato della nazione” per risvegliare la memoria legata a eroi come José Rizal, il leader rivoluzionario Andres Bonifacio e il giornalista radicale Marcelo Del Pilar, inquadrandoli come esempi che dovrebbero essere seguiti dai filippini. Duterte li ha contrapposti a coloro che, presumibilmente, praticano il terrore abusando della propria libertà di espressione e azione, facendo un sottile riferimento all’opposizione di liberali e gente di sinistra.
Ancora una volta, il 30 novembre 2020, il giorno di Andres Bonifacio, Duterte ha espresso il desiderio che i filippini emulino il patriottismo e il coraggio di Bonifacio al fine di creare una società giusta, progressista e inclusiva, soprattutto in un momento in cui la fetta più grande della società è afflitta dai problemi legati alla pandemia di COVID 19. Ovviamente, sotto il suo regime – che fin dall’inizio ha fatto dei pasticci con la risposta pandemica del Paese- non c’è niente di giusto, progressista o inclusivo nella Repubblica.
L’idea di eroi, soprattutto di “eroi nazionali,” è instillata nella coscienza collettiva del nostro Paese. Queste persone vengono messe su un piedistallo affinché i cittadini possano ammirarle ed emularle.
Questi eroi possono provenire da qualsiasi tipo di background: leader politico-militari durante la guerra per l’indipendenza, martiri morti per sostenere o riguadagnare un senso di libertà o sicurezza, figure così antiche da essere trattate come miti o leggende.
I loro nomi sono affissi nelle scuole pubbliche e nelle biblioteche delle loro città d’origine, le loro fattezze sono immortalate con statue nei parchi cittadini, le loro vite raccontate ogni anno durante le lezioni di educazione civica. In qualche modo, senza che ce ne accorgiamo, entrano nella nostra psiche poiché genitori, politici, insegnanti e storici si riferiscono costantemente a loro.
Come se si trattasse di un accordo collettivo, questi individui diventano la versione idealizzata dell’immagine del cittadino. Questi eroi sono propagandati a causa delle azioni intraprese nelle loro vite e di come queste abbiano contribuito a determinare la nostra situazione attuale.
Raccogliamo i loro ricordi e ne conosciamo i princìpi che hanno sposato in modo da poter continuare la loro eredità. A volte, abbiamo il compito di “pensare a quello che avrebbero fatto i nostri eroi” come una citazione motivazionale dozzinale tratta direttamente da Facebook.
La natura degli eroi nazionali
Come risultato del Governo e della società guidati da coloro abbastanza fortunati da sopravvivere alla rivoluzione filippina (o abbastanza privilegiati da cambiare bandiera durante il suo svolgimento), quelli che divennero le figure di spicco delle Filippine si impegnarono a esaltare il Katipunan nazionalista rivoluzionario (un’associazione segreta fondata nel 1892 per opporsi al dominio coloniale spagnolo), esaltando coloro che un tempo vivevano, lavoravano e combattevano fianco a fianco come José Rizal e Marcelo H. del Pilar.
Il fatto è che la maggior parte di noi ha ereditato questi eroi dalle generazioni passate, senza comprendere il contesto che ha permesso che venissero ammirati, se non venerati.
Questo sentimento non è nuovo nelle Filippine. Già nel 1969, lo storico nazionalista Renato Constantino ha affrontato l’eredità e la leggenda di José Rizal, l’“eroe nazionale” filippino, nella Terza Conferenza Nazionale Rizal, pubblicata nel 1971 come “Venerare senza comprendere:”
“Ai suoi tempi, il riformista Rizal era senza dubbio una forza progressista. In molti àmbiti della nostra vita di oggi, le sue idee potrebbero ancora essere una forza per un cambiamento salutare. Tuttavia, la natura del culto di Rizal è tale da essere trasformata in autorità per sanzionare lo status quo da una confluenza di cieca adorazione e diffusa ignoranza delle sue idee più rivelatrici.” 1
Questo è il motivo per cui una valutazione critica della Storia ci impone di rifiutare il concetto di eroe nella nostra cultura. Gli eroi nascono dalle circostanze del loro tempo. Non sono semplicemente idoli da adorare. Piuttosto, i loro ricordi sono utilizzati da coloro che hanno il potere per reprimere coloro che desiderano effettivamente seguire il loro esempio coraggioso e sovversivo.
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L’umanità degli eroi
Tra tutte le storie romantiche di valore e gloria, è facile dimenticare che questi erano esseri umani con difetti, debolezze e fallimenti, come tutti noi. Nonostante tutto il loro valore sul campo di battaglia, l’abilità nell’agitazione e nell’organizzazione tra le isole, o la competenza letteraria e poetica, concentrarsi su tali aspetti della loro vita e metterli in mostra è una disinformazione astorica.
Lo scrittore del dopoguerra Nick Joaquin ha definito Rizal “amletiano” e “indeciso” per essersi rifiutato di prendere parte alla rivoluzione degli Ilustrados 2 innescati e ispirati dai suoi Noli Me Tangere e El Filibusterismo. Anche se sempre più filippini - non solo Tagalog, ma anche quelli di Luzon centrale, Visayas e Mindanao - partecipavano alle proprie rivolte contro un Governo coloniale sempre più dispotico ma fragile, Rizal arrivò persino a offrire i suoi servigi come medico dell’esercito spagnolo contro un’altra rivoluzione a Cuba.
Andrés Bonifacio, nonostante tutto il suo genio organizzativo per quanto riguardava l’espansione del Katipunan in tutto l’arcipelago, non ebbe successo nelle battaglie contro gli spagnoli a Caloocan e San Juan. Peggio ancora, incaricato di provare a collegare la sua lotta a Manila e Morong (ora provincia di Rizal) alle insurrezioni nella provincia di Cavite, invece di cercare di riparare la divisione che cagionò la resa del movimento, si mosse lungo la faziosità e nelle piccole lotte dei capi di Caviteño dell’alta borghesia, divisi tra Alvarez di Magdiwang e Aguinaldos e Tironas di Magdalo. Ciò portò all’involontaria sconfitta di questa fase della Rivoluzione e, come vedremo più avanti, all’“assimilazione” americana dell’arcipelago, che aprì la strada alla presa del potere di un altro impero coloniale.
Come poterono far ciò questi eroi? Semplice, rinnegando un accordo con il Governo coloniale.
Intuendo che la rivoluzione filippina sarebbe stata presto sconfitta con le roccaforti nella provincia ribelle di Cavite cadendo in mano agli spagnoli, la cricca di Emilio Aguinaldo, il primo Presidente eletto delle Filippine, si rintanò nella città di San Miguel, nella provincia di Bulacan. Lì, la cosiddetta “Repubblica Biak-na-Bato” redisse e adottò una Costituzione negoziò con gli spagnoli una resa totale e l’esilio dei leader rivoluzionari in cambio di amnistia e pagamenti in contanti. Tuttavia, mentre si trovava in esilio, Aguinaldo fu convinto da diplomatici e capi militari americani a tornare e proseguire con i combattimenti grazie al sostegno non ufficiale dell’Esercito e della Marina americana, che miravano ad aggiungere un altro teatro alla guerra ispano-americana.
Di conseguenza, Aguinaldo e la sua gente tradirono accidentalmente gli interessi dei filippini. Il Presidente fece ciò sostenendo tacitamente gli Stati Uniti nella guerra ispano-americana, dopo essere stato avvicinato dal console Spencer Pratt ed esser stato persuaso a rimettere in moto la rivoluzione con la promessa del sostegno statunitense per ottenere l’indipendenza. Tuttavia, questo non era altro che un inganno poiché le loro vere intenzioni erano di prendere per sé l’intero arcipelago. Come conseguenza, gli “eroi” furono ingannati dagli imperialisti americani nella battaglia di Manila, dove gli Stati Uniti collusero con gli spagnoli per condurre una finta battaglia al fine di impedire ai filippini di prendere la capitale Manila, il principale obiettivo della Rivoluzione. In seguito, quando la causa indipendentista sembrava inutile, gli autonomisti tradirono questi stessi interessi pianificando di accettare il dominio americano sull’arcipelago.
Con la rivoluzione nazionalista sconfitta, gli Stati Uniti divennero il nuovo padrone coloniale. Con il passare del tempo, lo Stato coloniale americano si evolse nel Commonwealth filippino, un Governo filippino incorporato simile all’attuale Commonwealth di Porto Rico. Sebbene i collaboratori filippini pensassero di avere buone intenzioni, stavano ancora perseguendo i loro interessi economici e sociali. Persone come Manuel Quezon, Sergio Osmeña, Cayetano Arellano e Pedro Paterno divennero accessori per la fondazione e il proseguimento di quella che divenne la neocolonia americana delle Filippine.
Successivamente, quando sostennero i giapponesi durante la Seconda guerra mondiale con la premessa che avrebbero potuto dare “indipendenza” all’arcipelago, rivoluzionari come Artemio Ricarte e, ancora una volta, Emilio Aguinaldo esposero ancora una volta la libertà e l’indipendenza dei filippini alle minacce dell’imperialismo e del fascismo.
Ovviamente, questo problema con la venerazione degli eroi non si limita agli eroi filippini. Attraverso nazioni, secoli e ideologie, leader e pensatori ampiamente elogiati non possono sfuggire agli errori, anche quando perseguono seriamente la liberazione.
In quanto libertari e anarchici, non abbiamo bisogno di guardare oltre alcuni dei luminari classici che hanno plasmato la storia primitiva della nostra filosofia e dei nostri movimenti.
Pierre-Joseph Proudhon, la prima persona a dichiararsi “anarchico,” continua a influenzare i mutualisti e gli anarco-capitalisti oggi. Eppure Proudhon espresse idee sessiste, misogine e antisemite - sposando in vari momenti la convinzione che la scelta di una donna dovesse essere legata al fatto che fosse “una cortigiana o una governante” e che il popolo ebraico è “il nemico della razza umana.”
Prima di arrivare all’anarchia, a un certo punto, Mikhail Bakunin abbracciò il panslavismo come via verso la liberazione. Nella prima parte della sua vita, apparentemente credeva nella necessità di uno zar e “pensava che lo zar fosse in grado di lavorare davvero con il popolo, e il popolo capace di imporre la sua volontà allo zar attraverso un’Assemblea nazionale”.3 Anche se si allontanò da questa convinzione, in seguito espresse idee antisemite, equiparando la “setta” ebraica ai finanzieri e banchieri capitalisti in ascesa con lo sviluppo del capitalismo ai suoi tempi.
Lo spirito dei loro tempi
Ovviamente, secoli ci separano dai primi sostenitori delle idee anarchiche; ci sono molte differenze tra la società del XIX secolo e il mondo in cui viviamo oggi. Molte delle figure considerate padri fondatori (e sono quasi sempre padri) idealizzate dalle nostre culture sono deludenti in modi che possono essere spiegati dalla differenza di contesto. Erano prodotti di condizioni e circostanze diverse. Sono nati e cresciuti nello spirito dei loro tempi, fossero essi pacifici o tumultuosi, liberali o reazionari, oppressivi o liberi.
Di sicuro, un operaio del XIX secolo non sarebbe preoccupato per l’automazione o per il cambiamento climatico quanto un lavoratore di oggi. Allo stesso modo, un attivista del XXI secolo non sarà in grado di digerire le opinioni della maggior parte delle persone del Rinascimento o dell’Illuminismo su argomenti come l’educazione sessuale, la salute mentale o la discriminazione e il razzismo.
Uno spirito diverso dei loro tempi può anche spiegare le gesta della classe dirigente. Un capitalista può trovare nel suo migliore interesse corteggiare gli investitori di un Paese anziché di un altro ed essere un acquirente per una multinazionale a breve distanza anziché in giro per il mondo, anche se il loro capitale è stato a lungo investito altrove. Un politico potrebbe sostenere un candidato contro un altro anche se proviene da partiti opposti allo scopo di ottenere un bottino migliore, oppure diversi politici potrebbero modificare le loro alleanze per cementare il loro “mandato,” demonizzando quelli che erano soliti arruffianarsi come “terroristi.”
Molti di quelli chiamati eroi s’impegnarono in battaglie encomiabili contro l’establishment al potere; potrebbe anche valere la pena emularli nella forma se non nella sostanza. Ma - soprattutto nel caso di chi era coinvolto negli ambienti liberali, “progressisti” e socialisti della fine del XIX e dell’inizio del XX secolo - la maggior parte di loro non chiedeva altro che uno Stato migliore o uno “Stato popolare” ignorando le gerarchie già esistenti. Ancora peggio, alcuni hanno messo le mani sullo Stato per estendere il proprio potere.
Sostennero anche lotte che, alla fine, furono respinte o ritenute irrilevanti da quelle sulle quali questi eroi esercitano influenza ai giorni nostri. Nelle Filippine, per esempio, nessuno sano di mente vorrebbe ancora integrarsi in un impero come sostenuto da Rizal, di sicuro non ora che le Filippine sono nominalmente indipendenti. Certo, più persone vorrebbero diventare cittadini dell’Impero americano che di uno ispanico.
La domanda, quindi, rimane: a quale scopo i sostenitori dello Stato ci esortano a tornare ai tempi passati? Perché rivangano il passato come se ci ricordassero ciò che un tempo rappresentava lo Stato, quando oggi sono palesemente dalla parte dell’oppressione?
È semplice. Chi è alla guida delle istituzioni statali deve farci stare zitti.
Il Santuario Bonifacio a Manila raffigura l’eroe filippino e la rivoluzione filippina.
Fantasmi che ci spaventano
Coloro che ci governano devono allontanarci dalla tradizione di franchezza e dissenso per cui molti eroi hanno difeso combattendo. L’élite al potere deve farci vergognare ricordandoci di aver creato la Repubblica in cui viviamo oggi. Devono valorizzarsi di fronte alla gente che, se non per figure ispiratrici come Bonifacio e Luna nelle Filippine o Washington o Jefferson nei cosiddetti Stati Uniti, assocerebbero i propri governanti ad avidità e malizia, non la continuazione di una Rivoluzione.
La necessità di convalidare il loro Governo è il motivo per cui le istituzioni statali come i militari invocano gli eroi nazionali. I militari onorano i loro campi di addestramento con i nomi di combattenti per la libertà che hanno rifiutato proprio l’indottrinamento e il degrado morale caratteristici dei soldati che affollano le loro caserme.
I burocrati statali e i funzionari eletti chiedono ai poeti e ai romanzieri morti di giustificare i loro attacchi alla stampa e alla libertà di parola. Oggi, sono diventati i colonizzatori che combattono contro lo stesso tipo di “terroristi” il cui ruolo un tempo era determinante nel portare idee liberali nelle Filippine. Mentre una parte del Governo delle Filippine celebrava la morte di un uomo che combatteva contro gli ordini religiosi e la loro censura, un’altra ha appena approvato una legge antiterrorismo di cui anche la “frailocracy” (il dominio dei frati) sarebbe stata orgogliosa.
Chi si trova nello Stato ricorda alla gente tutti i sacrifici costati affinché questi Stati nascessero, anche se i combattenti che morirono decenni o secoli fa nelle guerre dell’impero e del capitale erano ben lontani dai porci e dai leccapiedi che saccheggiano e distruggono le minoranza e comunità operaie odierne.
Come risultato di questo tipo d’indottrinamento, non solo diamo troppo credito agli eroi “affermati” ma ignoriamo molte altre persone mentre cerchiamo di analizzare la nostra storia. Mentre lo Stato costringe i bambini a imparare a memoria le date di nascita e le città d’origine delle stesse persone, gli insegnanti ignorano, se non nascondono del tutto, coloro meritevoli di riflessione, sia morti sia vivi.
I dimenticati
C’erano individui troppo radicali per i tempi in cui vivevano, che sostenevano i movimenti verso l’indipendenza e l’autonomia nelle Filippine e abbracciavano idee e convinzioni troppo estranee alle persone in quel momento.
Alla fine del XIX secolo, gli Ilustrados istruito in Europa furono influenzati dalle idee liberali sulla libertà economica, la laicizzazione e la Democrazia liberale. Mentre nelle Filippine esistevano pratiche socialiste e anarchiche, un movimento veramente socialista sorse solo con il ritorno di Isabelo de los Reyes. De los Reyes fu esiliato dalle autorità coloniali spagnole nella famigerata prigione militare di Montjuïc alla vigilia della rivoluzione filippina. Lì, incontrò degli anarchici che lo introdussero alle idee anarchiche e socialiste attraverso libri e riviste. Una volta rilasciato, fu ulteriormente istruito da anarchici e sindacalisti, fino a prender parte a movimenti sovversivi a Madrid e Barcellona. Tutto ciò influenzò le sue azioni nella situazione filippina, che ebbe inizio nel 1901 dopo la sconfitta di Aguinaldo nella guerra filippino-americana.
Mentre i cosiddetti sajones - l’élite addestrata e istruita dagli americani - prendevano posizioni di potere e di governo nell’arcipelago, de los Reyes, insieme a Dominador Reyes, Hermenegildo Cruz e Pascual Poblete, fondò l’Unione Obrero Democratica ( UOD – Unione Operaia Democratica), il primo sindacato di lavoratori del Paese. Unirono i lavoratori di Manila e altri filippini per fomentare l’indipendenza delle Filippine e lottare per leggi a tutela dei lavoratori. L’UOD praticò anche il mutuo soccorso sotto forma di assistenza per l’educazione dei bambini e assistenza medica per malati e feriti. I documenti alla base del sindacato furono la vita e le opere di Karl Marx e, in particolare, Fra Contadini, opera anarchica di Errico Malatesta.
Grazie all’UOD emerse la costellazione di organizzazioni socialiste e anarchiche che continuano a lottare per i lavoratori, i contadini e i filippini contro l’aggressione straniera e locale e gli interessi costituiti. Eppure, oggi, quasi nessuno conosce i loro nomi.
C’erano anche altre persone ritenute troppo lontane dalla massa. Mentre alcuni erano “troppo radicali,” la personalità e l’identità di altri impedivan loro di diventare famosi come eroi. Nonostante tutti i loro contributi alle insurrezioni in tutto l’arcipelago nel corso dei secoli, le donne sono a malapena riconosciute e ricordate rispetto alle loro controparti maschili.
Nell’entroterra dell’arcipelago, dove la croce e la spada penetrarono ma non attraverso le comunità indigene, le balian, le sciamane, continuarono a essere crociate spirituali della cultura nativa, rifiutando gli spagnoli non con le armi ma con la religione. Utilizzarono le loro icone religiose per sostenere le proprie convinzioni in un cristianesimo popolare che rimane ancora oggi, sovvertendo Chiesa e Stato. Di conseguenza, sebbene le idee straniere influenzassero la società nativa, non sono riuscite a diffondersi completamente. Piuttosto, tali figure e comunità ora senza nome resistettero al colonialismo, preservando le fondamenta della cultura filippina odierna.
In seguito, figure come Gabriela Silang della regione di Ilocos guidarono una rivolta regionale contro gli spagnoli e gli inglesi quando un fronte nella Guerra dei Sette Anni si aprì nell’arcipelago con l’invasione di Manila. Melchora Aquino fornì ai ribelli katipunani assistenza medica e cibo durante le prime fasi della Rivoluzione del 1896. Teresa Magbanua e Trinidad Tecson guidarono rivolte nelle loro province d’origine quando, tra il 1899 e il 1901, la guerra si spostò dalla lotta contro la Spagna alla lotta contro l’America. Nieves Fernandez e innumerevoli altre donne giocarono un ruolo importante nelle unità di guerriglia che combattevano contro il Giappone nella Seconda guerra mondiale. Nelle scuole non si parla Dei molti leader guerriglieri degli Huks che sconfissero i fascisti giapponesi perché gli Huks osarono ribellarsi anche contro lo Stato postcoloniale.
Un altro esempio significativo dei nostri sconosciuti predecessori sono i leader ribelli queer che hanno cercato di sostenere le loro tradizioni culturali e religiose come asogs, sciamani, che indossavano abiti femminili e adottavano espressioni femminili. Provenienti soprattutto dalle Visayas, queste figure erano centrali sia nella vita religiosa sia in quella quotidiana dei filippini dell’era coloniale che rifiutavano i costumi e le credenze spagnole.
I ribelli Dios Buhawi, Tapar e Gregorio Lampinio ebbero un ruolo nella storia visayana nella loro resistenza all’Impero spagnolo. Nelle loro rivolte, la lotta per l’indigeneità e l’autonomia culturale era, più o meno consapevolmente, collegata all’uguaglianza delle donne e delle persone queer.
Le persone non ricordano nemmeno i loro nomi perché, probabilmente, li sentono solo una volta durante le ore di educazione civica della quinta elementare, se mai li sentono. Sono menzionati come se i loro contributi alle loro terre d’origine e alle grandi lotte nell’arcipelago fossero discutibili, come se nulla avesse davvero importanza fino al 1896 e alla rivoluzione filippina.
Ai giorni nostri
Ci sono persone che sono semplicemente considerate insignificanti dalla “società più ampia,” che vengono dimenticate e ignorate ma che sono importanti quanto gli eroi che oggi stanno sul piedistallo.
Sono i lavoratori in patria e all’estero che svolgono lavori umili, in particolare lavori domestici - la cui unica immagine arriva in tribunale quando sono insultati e maltrattati dai propri capi e quando lavorano troppo.
Sono loro i destabilizzatori: sindacalisti, giovani attivisti, sostenitori del clima e giornalisti illegalmente detenuti, arrestati, aggrediti, scomparsi, trovati crivellati da proiettili e trafitti da coltellate.
Sono gli artisti e gli attori che cercano di aprire le menti delle persone a nuove idee e nuovi modi per affrontare i vecchi problemi attraverso le proprie versioni di arte e cultura ma che si ritrovano a essere puniti o ingiustamente arrestati.
Sono coloro che vivono sotto la soglia della povertà, siano essi pescatori e agricoltori che si preoccupano che i loro mezzi di sussistenza vengano portati via o coloro che vivono in case popolari e baraccopoli nelle città che lavorano nel ventre dell’economia come trasportatori e fornitori di servizi igienico-sanitari ed edili.
Sono coloro che diventano vittime di guerre alla droga, accise e “progetti di sviluppo” avviati da chi mira a rendere inutile tutto il loro lavoro, a prendere il valore di tutto ciò per cui hanno lavorato e ad aumentare i prezzi delle merci per sfruttarle per quel poco denaro che hanno lasciato.
Senza questi eroi dimenticati, la società non funzionerà e non si evolverà. Senza di loro, ci mancheranno voci e azioni per cambiare le cose nelle nostre comunità e nelle nazioni in cui viviamo. Nessuno dei nostri “eroi” esisterebbe se non fosse per il lavoro ingrato che queste persone hanno svolto per secoli, se non millenni.
Eppure chi è al potere non li ascolterà. Cedere alle richieste dei senza nome significherebbe lasciare andare le loro strutture di potere, la supremazia della loro carnagione, del loro linguaggio, o delle loro attività, o delle armi e delle leggi. Chi è al potere non chiamerà mai eroi queste persone non celebrate, anche se meritano di esserlo.
I nominati e i senza nome
E così arriviamo alla contraddizione, al conflitto tra i nominati e gli stimati dalla società e gli anonimi, quelli dimenticati dal tempo e dalla memoria. I primi sono i “grandi uomini” di cui abbiamo a lungo parlato in questo testo. Questi ultimi sono coloro che hanno tanto contribuito alle lotte che affrontiamo oggi, prefigurando, iniziando e continuando la lunga strada verso l’autonomia, l’indipendenza e l’autodeterminazione.
Siamo noi quelli colpiti da questi ricordi, che restano sotto il controllo di chi spaccia eroi per la propaganda. Siamo quelli che lavorano duramente nelle industrie di tutto il mondo, provvedendo ai bisogni e ai desideri di tutti ma che non ricevono il valore o i frutti del proprio lavoro. Siamo coloro che soffrono per lo status quo, coloro che subiscono le molte forme di oppressione e sfruttamento nel mondo, tra cui razza, genere, capacità, posizione sociale, istruzione e lingua. Siamo quelli che, se non per panem et circenses, lo sfarzo e le circostanze in cui gli eroi nazionali giocano un ruolo, arriverebbero a rendersi conto di quanti torti abbiamo subìto e a quanto si debba rimediare.
Se continuiamo su questa linea di interrogativi, arriviamo a un’altra domanda: “Domani, chi saranno considerati gli eroi di questo tempo?”
Sappiamo già chi saranno. Saranno quelli che incarnano gli ideali della società attuale e della sua classe dirigente, o almeno la facciata degli ideali che hanno creato. Saranno quelli che si schiereranno come brand per la campagna statale per far sembrare migliore l’autoritarismo. Il culto attorno a questi eroi sottolinea solo quanto sia distaccato l’attuale Governo dallo spirito dei diseredati. Quella cieca adorazione è la ragione per cui coloro che meritano lo stesso rispetto e onore per il loro autentico coraggio, abilità e perseveranza rimarranno senza nome.
Se continuiamo su questa strada, coloro che spingono per il cambiamento sociale e lavorano contro lo status quo non saranno gli eroi del futuro. Sì, ci saranno sempre delle eccezioni: ci saranno sempre passi nella giusta direzione e vittorie per le cause che difendiamo. Ma in questo momento, le moltitudini che non esercitano il potere di agire per i nostri bisogni e la libertà rimangono senza nome.
Continuiamo la lotta di coloro che ci hanno preceduto, la lotta per l’individualità e la dignità, la lotta per vedere in questa società venga dato un peso ai nostri bisogni.
Di cosa abbiamo bisogno?
Molti individui sono eroi proclamati dei giorni nostri. Ciò vale anche per interi settori della società - dai lavoratori stranieri che vanno all’estero per lavoro, ai medici in prima linea che affrontano l’attuale pandemia. Li plaudiamo per tutto ciò che hanno fatto per noi, lodando il loro coraggio e valore. Tuttavia, alcuni non vorrebbero essere considerati eroi e, in realtà, chiamarli tutti eroi oscura la realtà della situazione in cui viviamo.
Perché è così? Per molti, le azioni che compiono a beneficio di coloro che li circondano a costo della propria sicurezza sono imposte da problemi che la nostra società potrebbe facilmente evitare. Queste persone erano semplicemente lì al momento del bisogno, che piacesse loro o meno. Hanno lavorato in condizioni estenuanti mentre soffrivano ancora della sorveglianza del Governo, delle imprese e della classe dirigente – quelli che avevano esacerbato i problemi, se non li avevano addirittura causati in primo luogo.
Almeno come qui specificato, gli eroi non hanno bisogno di esistere. Possiamo guardare le persone, rispettarle e ricordarle ma non c’è bisogno di trattare nessuno come un dio, non ha senso elevare qualcuno in modo che sembri inutile per raggiungere ciò che ha.
Non abbiamo bisogno della perfezione, e sicuramente non abbiamo bisogno di un ideale che ci venga imposto in modo da poter lavorare a nostro vantaggio a beneficio di chi sta approfittando del nostro lavoro e della nostra miseria. Non abbiamo bisogno di martiri che ci dicano che il prezzo della nostra libertà è il sangue. Non abbiamo bisogno di soldati per assicurarci che il nostro servizio militare manterrà unite le nostre comunità.
Non abbiamo bisogno di autori e oratori morti per mostrarci il potere della parola scritta, la forza in ogni frase che continua a ispirare le persone ancora oggi.
Non abbiamo bisogno di giudici per sapere che la sete di giustizia e uguaglianza non cesserà mai. E, soprattutto, non abbiamo bisogno di politici la cui reputazione oscuri gli interessi egoistici che hanno perseguito nella loro vita.
Di cosa abbiamo bisogno, allora?
Dobbiamo manifestare la nostra riconoscenza a coloro che vengono ignorati dai loro capi, dai loro padroni di casa e dai loro Governi. Dobbiamo dimostrare loro che meritano di vivere e di prosperare proprio come gli altri esseri umani.
Abbiamo bisogno di saperne di più sulla storia, sui movimenti e le condizioni che hanno portato alla situazione attuale, su come, in passato, le persone si sono mosse per il cambiamento sociale, economico e politico.
Dobbiamo partecipare alla lotta contro l’ingiustizia, l’aggressione e lo sfruttamento nelle nostre comunità. Ogni protesta, ogni laboratorio, ogni giardino, ogni lavoro scritto, ogni assemblea che organizziamo, ogni comunità che tuteliamo è un passo nella giusta direzione.
Dobbiamo uccidere i nostri eroi - perché le leggende e le storie sono fantasmi che ci spaventeranno fino a farci sottomettere a coloro che ci dominano. Uccidiamo i nostri eroi, perché statue e memoriali non ci salveranno dal dolore, dalle ferite e dalla morte. Uccidiamo i nostri eroi perché non possiamo fare affidamento su nessun altro.
Nessuno può salvarci tranne noi stessi.
Appendice: due poster anarchici dell’arcipelago
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